mercoledì 31 dicembre 2008
Falò
Che soddisfazione, dare alle fiamme un inqualificabile giubbotto di pelle, maglioni, pantaloni, aahh, ultimi rimasugli di passato che mi sono fortunatamente scrollata di dosso, e per sempre.
E quale felicità guardare attraverso il fuoco e vedere quanto di bello ho adesso, e ciò che mi aspetta.
Indescrivibile.
Ancora una volta, grazie a me e a chi mi ama davvero.
martedì 23 dicembre 2008
lunedì 22 dicembre 2008
2008 Companies to Incazz For
Coming soon, naturalmente.
Se volete divertirvi con quella dello scorso anno, vinta (indovinate un pò?) da Telecom Italia andate qui.
Intellettuale a chi?
Libri. Solo libri. Anzi no. Anche un DVD-libro.
Si tratta de "La voce di Pasolini".
Ieri ho iniziato a guardarlo, poi interrotta. Ma mi sembra già una perla.
Il secondo regalo, in ordine di arrivo, è "La mente politica. Il ruolo delle mozioni nel destino di una nazione".
Un saggio sul rapporto fra politica, linguaggio ed emozioni.
"In politica, quando ragione ed emozione si scontrano, immancabilmente è l'emozione a uscirne vittoriosa. "
Lo leggerò durante le vacanze di Natale.
Sì, sono proprio soddisfatta.
Mi sorge però una domanda (sì, non siamo mai contenti). Scusate, ma ispiro tutto questo intellettualismo? Lo trasudo dai pori? Gli amici mi regalano sempre roba super-impegnata ergo...? Forse è ora che mi dedichi a qualche lettura svagata o a qualche attività a elevato tasso di manualità. Che so, potrei leggermi le barzellette di Totti, per cominciare. E imparare una buona volta il sudoku (non si offendano i sudokisti cintura nera, per carità).
La verità è che sono troppo pesante, nonostante io mi senta sempre troppo leggera.
Ma come faccio a smettere? Impossibile credo, e chi mi ama l'ha capito.
Ma quanto mi piacerebbe una volta tanto un bel regalo disimpegnato.
Per quelli all'ascolto: regalatemi la biografia di Cassano, dàje!
Oh!
La premessa del mio blog - questo - è la pigrizia. L'avevo detto.
E questa è l'ennesima volta che sento il bisogno di giustificare, peraltro a me stessa, la mia pigrizia, la mia assenza, la mia cronica mancanza di volontà.
Ma, mentre scrivo, mi accorgo che questo bisogno è stupido. Delle due l'una: o mi riprometto di essere diligente e costante (saprei anche da chi prendere esempio) oppure no e in quest'ultimo caso la pianto di lamentarmi e/o giustificarmi a cadenza periodica.
Oh.
martedì 2 dicembre 2008
Giuro che smetto
Seguirò gli ordini di Sua Nanità Silvio e mi trasformerò in men che non si dica in una inguaribile ottimista.
Che sforzo però. Chi riesce a essere ottimista di stì tempi merita un bacio in fronte, forse anche di più. Prendete stamani. Sono in attesa del solito tram, alla solita ora, fra le 8.30 e le 9.00. Ora di punta si chiama questa, quando dovrebbero passare tanti mezzi pubblici da stenderti sui binari, o sull'asfalto. E invece, come al solito, il mio solito tram non passa. Non c'è sciopero, non c'è la neve, non c'è la pioggia, nessuno si è gettato sotto le rotaie e il tram non passa. C'è pure la beffa dell'avveniristico cartellone che ti segnala i minuti di attesa - 6 min, 4 min, 26 min (sì, capitato anche questo) - che Roma invidia tanto a Milano. Stamani l'avveniristico cartellone non segna neanche i min di attesa. Siamo allo stato d'emergenza.
Decido quindi di riprogrammare il percorso e di prendere la metro a Famagosta. Per arrivare lì devo salire sulla 95 che... ma vabbè questa è un'altra storia. La 95, assurdamente, arriva in pochi minuti ed eccomi a Famagosta quasi felice - ci vuol poco, di stì tempi - che timbro il mio biglietto e mi immagino seduta alla scrivania finalmente in orario.
Non potevo immaginare, invece, il seguito della storia.
Oltrepassato di due metri il tornello, giusto il tempo per svoltare a destra e imbucare le scale, vedo davanti a me un'orda di poveri disperati ammassati sulla banchina, e sono talmente tanti che dalla banchina si riversano sulle stesse scale che mi accingo a scendere. Mi prende la rabbia, con me stessa per aver cambiato percorso, innanzitutto, in secondo luogo con l'omino dell'ATM che avrebbe potuto informarmi del delirio e farmi risparmiare un biglietto.
La rabbia monta e si impossessa di me: penso a quanto questa città sia ridotta male, allo sciopero di ieri, alla manifestazione di sabato, a quella di giovedì, alle vecchie sul tram che maledicono gli extracomunitari senza motivo, all'indifferenza di tutti gli altri, a quelli con le cuffie bianche nelle orecchie, alle segretariette rinsecchite con gli stivali a punta modello El Charro (che si sveglino, sono fuori moda da mò) e le borse finte di Louis Vuitton, ai funzionari di banca che comprano Libero da Claudio, il mio edicolante - che poi si lamenta con me.
Penso queste e altre cose e non faccio in tempo a pensarne altre ancora che finalmente arriva un treno.
Come previsto parte l'assalto alla diligenza, come nei migliori film western, ma qui, a Famagosta, il ruolo degli indiani è interpretato egregiamente dalla folla civilissima dei cittadini milanesi.
Che bella parola: civile.
Leggo la definizione sul Garzanti online: "educato, cortese, decoroso: maniere civili; persona civile | (estens.) misurato, elegante."
Ok, l'Italia non è mai stato un paese civile, ma quanto soffro a vederla ridotta così.
E non è la solita storia del piovegovernoladro.
Mi fa male vedere il disfacimento, il degrado delle nostre vite, mi commuovo alla vista di un Paese che così cattivo non è mai stato, altro che ottimismo.
L'orlo
Mi sembra che la recessione stia entrando dentro di noi, e ci trasformi inconsapevolmente in altro ancora indefinibile, ineffabile.
In questi giorni mi chiedo spesso se la crisi sia solo una bufala e allora mi guardo attentamente intorno, osservo la gente per strada, nei negozi, comprano sì comprano no, e se sì quanto.
Milano non è la città ideale per questo esperimento, oppure sì?
Forse bisognerebbe uscire dalle vie del centro, dove sembra che non stia succedendo nulla.
Ma forse succede qualcosa lo stesso e tutti, i commercianti, i passanti, i venditori di caldarroste, i liceali in libera uscita stanno solo fingendo che niente è cambiato. L'impressione è, appunto, quella di una finzione collettiva che nasce dall'ultima speranza che in fondo il peggio passi senza fare troppi danni. Sarà ancora Natale.
C'è un clima di attesa. Come se dovesse arrivare la fine di qualcosa: ma fino ad allora si vive come se nulla fosse. E' un modo per esorcizzare la paura che accada quello che nessuno vuole: cambiare il tenore di vita a cui si è abituati, quale che sia, e sicuramente in peggio. Ovvio che non vale per tutti, i ricchi e i privilegiati dei periodi di crisi si fanno beffe, bontà loro.
Ma gli altri?
Gli altri, a parte quelli che il lavoro l'hanno già perso e che non ce l'avevano neanche prima, tentano la rimozione. La crisi è argomento di conversazione a cena: il bombardamento della stampa a questo è servito finora. Se ne parla per minimizzare, allontanare i timori, trovarsi solidali nell'insulto ai poteri forti che ci hanno trascinato sull'orlo del baratro.
E così stiamo: sull'orlo, cercando di distogliere lo sguardo dal burrone in cui sono caduti già in tanti, con l'inconfessabile paura di scivolarci dentro anche noi.
venerdì 28 novembre 2008
Nova 24: il fenomeno Facebook
La pigrizia è una brutta cosa. Lo sapevo. Sono passate due settimane (due?) dall'ultimo post scritto.
E ci sono sempre pronte un sacco di scuse, la vita, il lavoro... etc etc.
Vabeh.
Rieccoci.
Siete pronti a comprare giovedì l'instant book del Nòva 24 su Facebook?
Fatelo!
Qui i dettagli.
Forse ci sono anch'io, forse.
:-)
venerdì 14 novembre 2008
Com'è andata a finire
GENOVA - Genova è ancora stupita, amareggiata, è di nuovo una città sotto choc dopo la sentenza della prima sezione del Tribunale sui pestaggi alla scuola Diaz, durante il G8 del 2001. Sentenza che ha assolto i vertici della polizia e condannato agenti e due soli dirigenti, Michelangelo Fournier che aveva definito quella notte di botte e violenza, tra il 21 e il 22 luglio del 0001, una "macelleria messicana" e l'ex capo del reparto Mobile di Roma, Canterini.
Dio si ricorda di Milano
giovedì 13 novembre 2008
Dal paradiso a Facebook e ritorno in 10 mosse
Sono nella fase acuta di utilizzo. Non so quanto durerà e onestamente avverto già i primi sintomi di stanchezza e credo che presto opterò per il Facebook-suicidio.
Qualche giorno fa G. (mio carissimo amico) mi confessa di essersi suicidato su Facebook. Non ne poteva più. E qui mi ha spiegato i suoi motivi:
Ari: ahò, ma te ne sei ito da feisbuc proprio quando mi sta prendendo la febbre a me. Quanto dura?
G: ao'! Io ero iscritto quasi da un anno. Lo schifo mi e' venuto pero' solo di recente, prima mi contenevo.
Ari: cioè? Che tipo di fenomeno è?
G: in che senso?
Ari: cioè, qual è il decorso della malattia?
G: mmmmh fammi pensare
1) novita', carino!
2) ehi ma c'e' anche peppuzzo che non lo vedevo da 20 anni!!
3) ah pero' che amiche fighe che ha peppuzzo, quasi quasi scrivo sul suo wall per farmi notare
Ari: (LOL)
G: 4) belle le application, ci sono anche quelle per cuccare!
5) prima pazza
6) seconda pazza
7) terza pazza
8) n pazze
9) qualcosa non mi torna, pero' che figata mi faccio i cazzi degli altri
10) MI FACCIO I CAZZI DEGLI ALTRI!! SONO UN MOSTRO! VIAAAA
G è tornato alla real life, sta bene ed è più felice che mai.
Chissà come va a finire
mercoledì 12 novembre 2008
Il bastione dell’indifferenza digitale: l’Italia
Già sappiamo cosa la stampa straniera pensi del nostro amato Paese.
Ma la lista nera dei difetti dell'Italia, per dirla con un eufemismo, si allunga: secondo il Guardian l’Italia è il più tecnofobo dei paesi del G7. Ma non tutto il male vien per nuocere: la nostra lentezza, tecnologica in questo caso, ci protegge dai danni di uno stile di vita eccessivamente digitalizzato. Ed è vero: anche gli Italiani usano Facebook ma rispetto agli inglesi sanno che là fuori, gente, c’è una real life.
L'ologramma di Paolo Mieli
Ci pensavo proprio ieri: era collegato con lo studio di Floris, sempre lui, sempre il suo ufficetto con la biblioteca alle spalle, stipata dei volumi di Storia dell'Arte, di Cucina e di tutti gli allegati al Corriere.
Mieli non manca mai, è di un presenzialismo da paura.
Ma non è questo che mi colpisce.
Mi chiedo: ma perché quest'uomo non alza il venerabile culo per andare di persona ospite qua e là nei vari studi televisivi? Se qualcuno l'avesse mai visto fisicamente presente in qualche trasmissione me lo segnali, per favore.
Che problemi ha?
Simplify yourself: il gessato non è più di moda
E' un evento imperdibile, senza precedenti - per noi - e siamo qua tutti, chi più chi meno, attenti al minimo segnale di cambiamento.
Cambiano i valori di riferimento: se solo sei mesi l'italiano medio avrebbe venduto sua nonna per sgasare su un SUV potentissimo per le strade cittadine ora forse comincia a pensare che con la bici si risparmia e si guadagna in forma fisica, tanto per citare un esempio.
Gli esperti appellano il fenomeno "Voluntary austerity".
In pratica per la prima volta dopo gli anni '80 si sperimenta il desiderio, o forse la necessità, di ridurre, tagliare, fare a meno, limitarsi. Austerity sì, ma volontaria. Siamo noi cioè a sentirci meno propensi ai consumi, per paura, per maggiore consapevolezza.
Volontaria finchè non comincia a diventare obbligatoria.
Quando perdi il posto di lavoro c'è poco da sfogliare verze (cito mammaincorriera): c'è austerity e basta.
Nel Belpaese, che come al solito vive in ritardo perenne rispetto al mondo civilizzato, si avvertono solo le prime avvisaglie.
Altrove si è già passati, purtoppo, alle vie di fatto.
Sul Sole24ore di oggi c'è un articolo sul nuovo linguaggio aziendalistico all'epoca della crisi.
Fino a ieri per licenziarti dicevano "Fired!". Da oggi sei "Simplified".
Semplificato.
Più politically correct. Già, perchè fired ha quel che di violento, che rimanda a oscure colpe del licenziando, mentre simplified, più dolce, suadente, comunica il senso di impotenza del licenziatore, lui sì, poveraccio, che si trova costretto , causa crisi, a semplificare il bilancio, l'organigramma, a tornare back to basics.
Tralascio tutti gli ovvi commenti che si potrebbero fare sul gergo aziendal-capitalistico: ci vivo praticamente immersa fino al collo e non mi fa più alcun effetto, un pò come le battute del nano pelato.
Curioso che anche la moda maschile torni back to basics: la notizia qui è che il gessato non si porta più. Lo diceva Repubblica ieri, riportando le ultime tendenze della moda britannica (fonte Tatler).
Il gessato è morto.
Personalmente ne sono felice: è tessuto portabile da pochissimi selezionatissimi gentlemen (a proposito, dove sono?), quelli che scelgono la righina impercettibile, possibilmente in forma e longilinei.
Accade invece che il gessato tu lo veda comparire addosso a sgraziati e panzoni manager de noantri, con le righe spesse come quelle della divisa di un carcerato e con l'orologio da taschino sboronissimo (questo nelle versioni con gilet, bleargh).
Considerazioni estetico-modaiole a parte il gessato davvero rappresenta il rampantismo 'gnorante del managerismo degli ultimi anni.
Se la crisi serve a farli sparire, insieme col gessato, che crisi sia.
Amen.
martedì 11 novembre 2008
I Sinistrati (aka I Tartassati)
Ieri sera Gad Lerner intitolava il suo Infedele “I sinistrati” (dal titolo dell'ultimo libro di Edmondo Berselli), con tanto di foto di gruppo PD con orecchie d’asino in testa.
E chi c’era a parlarne? Le solite facce ammuffite del salottino radical-chic di Lerner, Dominijanni del Manifesto, che ancora oggi si chiede “se” realmente la società italiana desideri un cambiamento”, il sociologo pret à porter Bonomi che proclama la nascita dell’era del “territorialismo” (eh?), etici etici.
Quello di Lerner è l’esempio perfetto del perchè in Italia non c’è una nuova classe dirigente. Per fortuna l’Infedele lo guardiamo in tre, e ci addormentiamo verso la metà con il bicchiere in mano e la bolla al naso.
Qualunque istituzione, in Italia, è strutturata sul modello del “salottino”. Il PD è un salottino (con tanto di caminetto, facevano notare Bonomi e Dominijanni): fa politica chi ha tempo, ergo chi non lavora, ergo chi ha mezzi propri di sostentamento, non certo i famosi “pezzi di società civile”, che poi saremmo noi, no? Quelli che sanno come funzionano davvero le cose, dall’economia, alla gestione delle aziende, alla sanità alla scuola. E poi non è solo una questione di tempo, ma anche di relazioni (oddio, le cose sono parecchio interconnesse, a ben vedere). Si fa politica per cooptazione, così come si diventa manager. Allo stesso modo. E più la classe dirigente fa schifo tanto più i cooptati faranno schifo. Semplice. Palmare.
La domanda che mi resta in gola è però questa: non è che la “società civile”, che siamo sempre noi, si merita proprio questo tipo di classe dirigente? Meglio: visto che i “pezzi della società civile” hanno rinunciato da tempo alla partecipazione attiva - in qualunque modo essa si esprima - perchè, diciamolo francamente, stì pezzi hanno anche una vagonata di cazzi loro da farsi (lavora, mangia, stira, cresci famiglia, studia) perchè poi lamentarsi della classe dirigente?
Abbiamo rinunciato a partecipare, abbiamo rinunciato anche a controllare: qualcuno mi spieghi da quale recondito angolo della società potrebbe spuntare l’homo novus, la nuova intellighenzia.
Intanto siamo qui a parlare, analizzare, lamentarci, vergognarci di essere italiani per colpa di un coglione nano e pelato.
Se il sistema è bloccato è perchè qualcuno ci ha messo il tappo o perchè lo spumante si è sgasato?
Obama cake
Di cose da raccontare ce ne sarebbero, come sempre, ma la pigrizia è più forte di tutto.
Nel frattempo ho compiuto gli anni, e mi sono cimentata, per l'ennesima volta, nella preparazione della Sacher.
La Sacher è la mia bestia nera: è il dolce che più adoro ma è quello che meno mi riesce. E con la Sacher mi sono incaponita.
Ho provato tante ricette diverse: con una non lievita, con l'altra la glassa sembra un liquame, con l'altra ancora la base si brucia.
Per l'ultima versione, ormai disperata, ho provato la ricetta del Cavoletto di Bruxelles, di cui mi fido ciecamente. E il risultato è in foto.
Come dire: brutta ma buonissima.
La sostanza della Sacher è fatta di due componenti complementari e altrettanto importanti: la base e la glassa. A me se riesce l'una viene male l'altra e viceversa.
No, non si può avere tutto.
Questa volta la base era semplicemente perfetta: cotta a puntino, soffice, alta, con la marmellata di albicocche perfetta.
La glassa invece è venuta una schifezza: troppo densa, per niente lucida, per niente spalmabile.
Il risultato è stato una Sacher orrenda a vedersi ma fantastica a mangiarsi. E poichè questa non si può dire una Sacher l'ho ribattezzata, senza alcuna originalità, la torta Obama.
Slurp!
mercoledì 5 novembre 2008
Finally we can!
Il contadino del Kentucky che ho disturbato ieri con buone probabilità ha votato Obama anche lui.
Due sono però le cose che mi hanno colpito profondamente.
La prima: il discorso di McCain.
Alle 5 del mattino ora italiana McCain appare sul palco a Phoenix. Davanti ha una platea di facce moge e bandiere mosce. Alla sua destra c'è la Palin.
Saluta e ringrazia tutti, poi si congratula con Barack Obama, "Lo ammiro molto" - dice - "e spero di lavorare insieme a lui per l'unità del paese". Seguono ancora ringraziamenti e un'autoaccusa, "The failure is mine, not yours". Giusto, se non ha vinto ha sbagliato da qualche parte.
La seconda: Obama che vola alto sulle ali dell'ideale. Non credo di aver mai sentito tanto afflato nel discorso di un politico. Quando c'era Kennedy non c'ero io e dopo di lui il nulla.
Potreste obiettare che quale politico americano non fa riferimento ai grandi ideali della famiglia, della patria, della guerra (anche e purtroppo).
Avreste ragione.
Ma Obama ha disegnato l'idea del futuro. Una visione che fa sì che noi tutti domandiamo a noi stessi come vorremmo che fosse il mondo fra 20 anni.
Che pena il politichetto nostrano che pensa all'ICI, all'IRAP, al taglietto lì e alla scorciatina là.
Riflettete e poi chiedetevi se ricordate qualcuno (in Italia, almeno) che parli di futuro.
Di come vorrebbe il mondo per i suoi figli.
Avete riflettuto?
martedì 4 novembre 2008
Chicago, Crosby Stills and Nash, dedicated to Obama
And they've chained him to a chair
Won't you please come to
Just to sing
In a land that's known as freedom
How can such a thing be fair
Won't you plaese come to
For the help we can bring
We can change the world -
Re-arrange the world
It's dying - to get better
Politicians sit yourself down,
There's nothing for you here
Won't you please come to
For a ride
Don't ask Jack to help you
Cause he'll turn the other ear
Won't you please come to
Or else join the other side
We can change the world -
Re-arrange the world
It's dying - if you believe in justice
It's dying - and if you believe in freedom
It's dying - let a man live it's own life
It's dying - rules and regulations, who needs them
Open up the door
Somehow people must be free
I hope the day comes soon
Won't you please come to
Show your face
From the bottom to the ocean
To the mountains of the moon
Won't you please come to
No one else can take your place
We can change the world -
Re-arrange the world
It's dying - if you believe in justice
It's dying - and if you believe in freedom
It's dying - let a man live it's own life
It's dying - rules and regulations, who needs them
Open up the door
P.S. Grazie ad aleblog: aggiungo qui il link per ascoltarla. I nostalgici apprezzeranno (anche se io nel '70 non c'ero ancora mi sento nostalgica lo stesso).
Yes, we could! But...
A New York preparano la festa in Times Square, a Milano sulla montagnetta di San Siro.
Sembrano tutti convinti della vittoria di Obama.
Io non ci scommetterei.
Gli americani sono un popolo a noi per lo più sconosciuto. Perchè noi europei siamo abituati a pensare, quando pensiamo "americano", all'americano medio di tre città: New York, San Francisco e Los Angeles (tiè, forse pure Chicago).
E invece i 3/4 della popolazione degli States vive in stati come l'Idaho, l'Ohio (il maledetto Ohio, dove pare i democratici non abbiano mai vinto), il Kentucky etici etici.
Non so se vi rendete conto: enormi distese di mais e grano , orizzonti infiniti, trattori giganti, e un sacco un sacco di farmers. Quelli sono gli americani. Non quelli che abbiamo in mente noi, che corrono nel Central Park, non Carrie di Sex and The City, ma gli altri. Che in testa portano il cappellone e addosso le camicie a quadratoni.
E non so quanto questi con le camicie a quadratoni vedano Obama di buon occhio.
Lo sapremo domani.
mercoledì 22 ottobre 2008
Bomba a Unicredit?
Spigolature
Menomale, pensavo la crisi si estendesse anche al mondo animale e vegetale.
D'Alema su Brunetta: "Un energumeno tascabile".
martedì 21 ottobre 2008
Il Riformista sputtana Repubblica
I Sassi di Matera
martedì 14 ottobre 2008
"Mettetece nà pezza", ovvero quando le donne devono rimediare al casino
Paolo Berizzi: continua la saga del formaggio
Continua infatti il viaggio del nostro nell'unto mondo del formaggio.
Il pezzo in prima pagina su Rep di oggi - per fortuna non c'è la mappina con i grafici anda e rianda - ci segnala il presunto scandalo dei dipendenti Galbani di Perugia che per anni, a quanto affermano, hanno visto passare sotto i loro nasi mozzarelle e galbanini con date di scadenza contraffatte.
Bene, non compreremo più neanche la Santa Lucia.
Grazie Berizzi!
Un suggerimento: le vie del formaggio sono infinite e sarebbe ora di ficcare il naso anche nella mozzarella di bufala.
lunedì 13 ottobre 2008
Quelle piccole cose che...
In quei giorni - reprise
In quei giorni
giovedì 9 ottobre 2008
La banca ideale di Tremonti
mercoledì 8 ottobre 2008
Lo spirito di Rossella O'Hara
Abbasso il Tasso!
martedì 7 ottobre 2008
Crisis sms
lunedì 6 ottobre 2008
Profumo evapora
giovedì 2 ottobre 2008
Coppie costose
"Salvati Freddie e Fannie. Le Borse esultano. Nessuna coppietta era costata mai così cara."
martedì 30 settembre 2008
Fermo posta
Vai a cagare, fermo posta.
domenica 28 settembre 2008
La saga del formaggio e l'inviato del taleggio
Tonnellate di formaggio avariato che, percorrendo la via che fu della seta, dalla Russia e dalla Cina arrivano a Ceuta, passano ad Algeciras e da qui al mercato europeo fino all'Italia.
Tutti i grandi marchi sono coinvolti, in particolari quelli forti nella nicchia del grattugiato pronto (Ferrari, Biraghi).
Ma questo lo sapete già, forse anche grazie alla meritoria opera di Paolo Berizzi, giornalista di Rep, che da luglio (leggete qui) ci racconta i truculenti dettagli della vicenda.
Passate le vacanze Berizzi ce ari-prova, (ari-leggete questo). E tu pensi: ok, ne so abbastanza.
Berì, m'hai convinto. Col cavolo che ricompro la bustina col parmigiano avariato.
Ma Berizzi, che ormai deve averci qualcosa di personale col formaggio, ritorna sull'argomento, casomai qualcuno fosse ancora all'oscuro, sabato scorso (ieri).
E stavolta il racconto è completissimo. C'è pure una mappina che ci mostra la rotta del formaggio scaduto, con tanto di freccine che andano e riandano. Ma questo è merito dei grafici di Repubblica che meritano un post a parte.
Insomma, Berizzi. Basta. Ti giuro che il formaggio dei cinesi non lo compro più. Promesso. Da ieri solo formaggio di fossa, bitto doc e taleggio. Pur di non leggerti più.
C'era una volta Ariadni
No.
La pigrizia ne ha uccisi un bel pò. E questo era l'ultimo.
Non so dire se sia cambiato tutto o proprio un bel niente.
sabato 27 settembre 2008
giovedì 25 settembre 2008
Stile Libero
Ero intenta nella lettura del pezzo di Michele Serra che si inserisce nella polemica innescata da Edmondo Berselli qualche giorno fa sui "format della politica". Roba pesa, insomma. Il semplificazionismo della destra, il complicazionismo della sinistra, bla bla.
Alzo lo sguardo per un secondo e vedo davanti a me questa tipa che, miracolo, legge un quotidiano. E' Libero, ok. Sempre meglio di TuttoTV.
Ha griffe dappertutto, forse pure sui capelli. D&G, Cavalli, Louis Vuitton (rigoramente finta, ovvio), stivalazzi da streghetta, bracciale poco discreto in argento reflex, occhialone ultimo grido Ray Ban opacizzato fumé.
E legge Libero.
Titolo di ieri: "Bancarotta Sicilia".
Mercato vs. stato, Bush vs. Keynes
Potrei parlarvi di quell'articolo che Keynes scrisse nel '26, ben prima della crisi del '29.
O potrei invece parlare della scuola di Chicago e della teoria dello stato leggero.
Invece no. Sapete già tutto di mutui subprime, CDO, Asset Backed Securities e toxic assets.
Vi racconto di una cosa strana che mi è accaduta oggi pomeriggio. Mi accingo a telefonare a M.
Cellulare, rubrica, M., click.
Due squilli e dall'altra parte del filo non c'è M. ma una sconosciuta che parla di esami clinici, di bisogno di riposo. Insomma, sto intercettando mio malgrado una telefonata altrui. Click. Atterrisco.
Riprovo dopo qualche minuto. Di nuovo: la voce della stessa sconosciuta di prima. Stavolta indugio qualche secondo, non per morbosità, ma per stupore. Ri-click.
Ora, sono quasi sicura che alcune mie telefonate vengano intercettate (no, non è paranoia, fidatevi).
E. ed io ci scherziamo su.
Ci inventiamo al telefono attentati ai danni del Nano Pelato, attacchi kamikaze al ristorante Da Giannino mentre lo stronzo cena con le troie rumene, lanci di cavaletto (precisi, però), bombeammano a Milanello, autobombe a Cologno Monzese.
Sembriamo un pò Paz e Pert partigiani a San Menaio.
Non ho niente da nascondere e che qualcuno ascolti quel che dico mi importa sega.
Ma oggi. Oggi ho capito cosa provano gli intercettatori di professione (quanti saranno? Ce ne saranno multilingue, per carpire le conversazioni in arabo, rumeno, albanese?). E' terribile. Costretti a infilarsi nelle vite degli altri, ad ascoltare di malattie, confidenze, risate, liti, viaggi, pettegolezzi, soldi, banche, toxic assets.
E il cerchio si chiude (perfetto, no?).
La 7 (ovvero le cotiche, i muli e gli smart&clever)
Tra i due scelgo Controcampo.
Il Milan stasera ha vinto a Reggio Calabria e tutto va bene.
Intanto i giornalisti di La7 scioperano. A 25 di loro oggi la proprietà (Telecom Italia, ndr) ha comunicato il licenziamento. In tronco (Natale).
Non voglio parlare dei perchè e dei percome il famoso "terzo polo", soffocato in culla, non sia mai decollato.
Voglio parlare del grande capitano d'industria che Bernabè ha piazzato sulla poltrona di amministratore delegato: Giovanni Stella.
No, nulla a che vedere con il più famoso Francesco Stella disegnato dal grande Paz.
Da tempo immemore uomo ombra di Bernabè (la collaborazione risale ai tempi dell'ENI) Stella è noto per essere un ruvido finanziere. Ha fama di risanatore, nell'ambiente. Il suo metodo preferito è il "metodo machete".
Stella, altrimenti detto "er Canaro", l'ho conosciuto di persona. Ho lavorato per lui. Non dimenticherò mai il suo muso contro il mio mentre mi urlava in faccia chissà cosa.
"Li soooordi, li soooordi!!!".
Si era ai tempi della rutilante gnu economi all'italiana, e Stella si occupava, per conto di Bernabè, di selezionare accuratamente (sic!) le aziende in cui investire, appunto, li sordi der padrone.
Casi pietosi. Sedicenti imprenditori che chiedevano 100 volte il valore del fatturato millantando competenze tipo faccio-siti-vedo-ggente.
Stella non ci capiva un cazzo.
Internet? Diavolerie.
Siti web? "Ma che cazzo state addì?"
E qui cominciava e finiva la sua competenza da talent scout de noantri.
E' superfluo aggiungere che le scelte che fece si rivelarono in breve fallimentari.
Altro che creazione di valore.
Terrorizzava i suoi collaboratori urlandogli dietro senza motivo. Umanamente uno schifo.
E dalla scorsa primavera è AD di La7. Antonio Campo dall'Orto ha dignitosamente rassegnato le dimissioni.
Per forza.
Fra lui e Stella c'è la stessa distanza che corre fra la terra e la luna.
Campo dall'Orto ha messo su una tv dignitosa, il migliore - imho - telegiornale in circolazione in Italia, il miglior palinsesto. Non raccoglieva abbastanza pubblicità, è vero.
Ma, signori, evviva!
Uno che ha avuto il coraggio di fregarsene di costi e ricavi. Un artista, a suo modo.
Chisseneimporta degli ingaggi e del fatturato.
Purtroppo arriva la resa dei conti e arriva Stella.
Appena insediato arringa la redazione: "I giornalisti si dividono in cotiche, muli e smart&clever".
Che classe.
Prende il machete e zac! Taglia un quarto della redazione. E questo è solo l'inizio.
Stella ha avvertito i giornalisti (me lo immagino, paonazzo, mentre urla) che scioperare va bene, ma se esagerano i licenziamenti potrebbero aumentare.
Tutta la mia solidarietà ai giornalisti che, forse, perderanno il posto di lavoro.
Auguri a tutti, cotiche, muli o smart&clever che siano.
martedì 23 settembre 2008
Suicidio Travel*
Dai dati emerge che dei 2867 italiani suicidi nel 2007 il 77% sono maschi.
Gli italiani che compiono l'estremo gesto hanno più di 65 anni nel 37% dei casi, sono per lo più coniugati (40%) e ammalati (50%).
I motivi affettivi seguono la malattia, al secondo posto (39%).
Colpisce l'alta incidenza dell'impiccagione quale metodo più diffuso per farla finita (quasi il 40%, anche se fra le donne la via più seguita è la "precipitazione", 32% dei casi).
Interessante anche la distribuzione geografica: è al Centro-Nord che la gente si ammazza di più (73% del totale). Prova ulteriore, se ce ne fosse ancora bisogno, che in fondo la gente del Sud riesce a tirare avanti, chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdammece 'o passato.
Chicca finale: l'Istat rileva anche il numero di suicidi compiuti da nostri connazionali all'estero. Ed è la Romania il paese in cui maggiormente gli italiani decidono di gettare la spugna (un terzo dei suicidi all'estero si verifica lì).
Vediamo di dare un'interpretazione.
Dunque: l'italiano suicida è sposato, perciò al diavolo le teorie per cui chi vive in coppia campa di più. A quanto pare il fatto di avere un compagno non costituisce un deterrente all'insano gesto. Il suicida nostrano preferisce il buon vecchio metodo del cappio al collo: sufficientemente teatrale, di sicuro effetto. Niente da fare: siamo pur sempre un popolo di grandi attori, fino alla fine. Le donne preferiscono il folle volo: necessita meno preparazione ed è gesto per definizione istintivo e isterico (mò mi butto, mò mi butto!). L'impiccando deve pensarci su, uscire a comprare la corda, preoccuparsi del gancio, della sedia. Deve inoltre calcolare la distanza dal suolo, per non fare la fine di Bertoldo. Roba da maschi.
Il volo è femmina. E anche più coraggioso.
Il terrone si suicida meno. Per forza: mangia meglio, lavora meno e scopa di più. Alla faccia della monnezza e della camorra.
Degli italiani con la valigia - non è dato sapere se per lavoro o diporto - sono quelli emigrati in Romania i più tristi, tanto da voler chiudere la partita con la vita. E come dev'essere penoso farlo lontano dalla patria!
Li vedo ancora, gli imprenditori del Nordest che cinque anni fa sono partiti in pompa magna verso la terra di Dracula all'urlo di "esternalizzazione produttiva".
Non dev'essergli andata molto bene.
* Bobo Rondelli, Stefano Bollani - Disperati intellettuali ubriaconi
lunedì 22 settembre 2008
Ipsa dixit 2 (con due occhiaie grosse così)
Gelmini, usa una buona crema.
Ipsa dixit
Ministra Gelmini: "La scuola è un'agenzia formativa, non un modo per creare occupazione."
L'illusione
Gli rispondo che sì, mi è piaciuto, che ha un tipo di scrittura "evocativa", per immagini. Che lo trovo dolce e decadente, e che leggo sempre i suoi pezzi su Rep.
Non ho mica capito se a lui piace oppure no.
"Non capisco perchè sul giornale facciano scrivere questi che guardano il mondo attraverso la televisione o al massimo da una camera d'albergo. Prendi quello, per esempio: guarda le partite in tv e tac, il giorno dopo esce il megacommento, tutto senza che abbia alzato un dito."
Certo, lui si fa il culo, dice. E capisco la sua frustrazione.
Dietro al grande nome spesso non c'è quello che vorremmo trovare: intellettuali colti, viaggiatori che si sporcano le mani, fini conoscitori dell'animo umano.
Ci sono solo persone.
E, vi assicuro, è meglio non sapere niente dei vostri beniamini, che siano essi scrittori o giornalisti.
Molto meglio continuare a illudersi che siano loro, proprio loro, a scrivere i pezzi.
Uccidi il tuo analista (Gabriele Romagnoli)
Uccidi il tuo analista.
Riscrivi da sola la tua biografia: non contano i traumi, riviviti attraverso i momenti di gloria. Cercali, ci sono stati.
Tuo padre non ha mai abusato di te. Abusavi tu, del suo presunto dovere, del suo affetto, della sua debolezza. L’hai ripagato il giorno in cui hai fatto o non fatto qualcosa perché, solo perché, lui esisteva. Siete pari. Non hai nessun debito.
Hai eliminato il tuo bambino. Hai creato, anni dopo, il tuo bambino. Erano la stessa anima. Prova a pensare come i drusi: esiste, di anime, un numero limitato. Si è reincarnato per tornare dove era destino. Abbraccialo due volte e ogni cosa andrà al suo posto.
Uccidi il tuo analista.
Entra nella vita come nei sogni. Delle due, dimentica la realtà. E’ altrettanto trascurabile. Fluttua, ne sei capace. Non c’è bisogno di spiegazioni.
Non diventerai mai come tua madre, non preoccupartene. Di’ al tuo uomo che non ha bisogno di verificare, per calcolarsi il futuro. Se sospetti di stare con l’uomo sbagliato, non stai con l’uomo sbagliato: lo stai già lasciando.
Attenzione: nello specchietto retrovisore appari meno bella di quello che sei.
Uccidi il tuo analista.
Non hai nessun bisogno di essere cinica, di leggere una rivista per ciniche. Non sei le scarpe che porti né il lavoro che fai.
Non c’è una sola delle tue fantasie che non possa essere gioiosamente condivisa. Ci sono molte cose che non sai di te, ma non sarà un altro a svelartele. Morirai con qualche curiosità senza risposta, ma va bene così: sollecita un secondo giro. Morirai, ma hai diritto a una lunga vacanza, da qui ad allora. Non hai bisogno di un editore, scrivi la tua autobiografia vivendola, pubblica te stessa.
Uccidi il tuo analista.
E non avere rimorsi il venerdì dalle cinque alle sei.
Gabriele Romagnoli, Solo i treni hanno la strada segnata, Mondadori.
venerdì 19 settembre 2008
Montanelli amarcord
Indro Montanelli (intervista a La Repubblica, 26 marzo 2001)
giovedì 18 settembre 2008
Dilemmi
Non so perché uno a un certo punto decida di aprirsi un blog. Nel mio caso, posso tentare un’interpretazione. E’ dal 1994 che uso Internet, la posta elettronica etc. A causa della (o grazie alla) mia morbosa curiosità ho sperimentato quasi tutto: dalle BBS primordiali agli esperimenti di rete civica - ah, i tempi di Recsando! – ai newsgroup giù giù fino ai social networks. Quello che mi muove è sempre e solo la curiosità e anche il timore di invecchiare e non sapere quello che accade di nuovo, di restare indietro.
Ci sono quelli che hanno un blog tematico, che si occupano solo dell’effetto serra oppure dell’estinzione dei panda. Ci sono poi quelli che invece parlano di tutto e niente, perché è bello dire la tua e possibilmente condividerla con chi ti legge, non importa quanti.
Ma un dilemma non l’ho risolto: è giusto che nel tuo blog finiscano pezzi della tua vita, quindi amici, amori, viaggi, incontri, disavventure, libri, vestiti…? E’ inevitabile, più che giusto. Però mi sento sempre sul filo del dubbio, quando si tratta di scrivere di persone a me care. Che diritto ho a mettere in piazza fatti che oltre che miei sono anche loro?
E’ giusto, D.?
mercoledì 17 settembre 2008
Anestesia politica
Godo nel sentire il brusio lamentoso di quelli che non si sentono rappresentati - consolatevi con Luxuria all'isola, tiè - nè in Parlamento nè sulla stampa.
Godo, mi vergogno per tutti coloro che hanno votato Bertinotti e, ancor peggio, la marmaglia dei Diliberti (a propò, dov'è finito?), dei Rizzi, dei Carusi.
Di sinistra, certo. Portafogli a mantice, razzisti travestiti da radical-chic.
Si lamentano, sai che novità.
Beh, in democrazia ha diritto a essere rappresentato chiunque raccolga dei voti.
Traggano costoro le debite conclusioni.
Mi chiedo piuttosto se ci sia un problema di rappresentanza per gli elettori democratici.
Un partito in effetti c'è, occupa scranni in Parlamento ma, a quanto pare, gli elettori democratici neanche loro si sentono rappresentati.
Ciò è più grave: il partito c'è ma non si vede.
La malattia strisciante, l'indifferenza che come un gas penetra in tutti i pertugi e anestetizza, è palpabile. E inevitabile, pure.
Viviamo al tempo delle macerie. Dappertutto se ne vedono: la stampa, l'Alitalia, la sinistra massimalista (deo gratias!), il costume e avanti così.
E di tempo ce ne vuole, per risollevarsi da tutto questo.
Ci vorrebbe un Piano Marshall.
Certamente meglio del Piano Fenice.
E' tornato Franco Cordero!
Dopo tante evocazioni eccolo che stamattina ci delizia su Rep con l'ennesimo, mai noioso, fondo sulla proposta di riforma dell'azione penale (obbligatoria o no?) avanzata dai berluscones.
Sono riuscita a leggerlo sono una volta e, come si sa, il fondo lo capisci solo dopo la terza lettura.
Perciò ci aggiorniamo a domani, forse.
martedì 16 settembre 2008
Animalismo Ultras - Michele Serra
Poi a soffiarsi il naso nello striscione. Infine, ha mangiato il pennarello. Nonostante il grande interesse scientifico della specie, la presenza degli ultras nel territorio, allo stato brado, fa discutere. Gli animalisti sono convinti difensori degli ultras, ma creano disastri introducendosi di notte nei laboratori e liberandoli dai gabbioni: distante dalle fonti di cibo (l'autogrill) e separato dal branco, l'ultras non è in grado di provvedere a se stesso e soprattutto, in mancanza di nemici, si accoltella da solo seguendo il suo istinto. Un altro problema è costituito dalla vista esclusivamente frontale: abituato a fronteggiare la curva nemica, l'ultras, in qualunque situazione, punta diritto davanti a sé. Lo sa bene il personale carcerario, che quando libera un ultras deve avere l'accortezza di farlo uscire dalla parte del carcere orientata verso il suo domicilio, perché l'animale comincia a correre verso l'orizzonte urlando e minacciando un punto X situato sempre frontalmente. Tra i provvedimenti allo studio del ministero degli Interni: il lancio di quarti di bue in curva, mediante catapulte, per rabbonire i branchi più inferociti. Il recupero sociale avviando gli ultras verso attività meno pericolose, per esempio scippi e rapine. L'affidamento ai principali circhi europei, con domatori particolarmente energici, o ad appositi parchi zoologici a forma di curva dove i visitatori potranno nutrire gli ultras lanciando mele e noccioline. Infine, l'inserimento nel campionato italiano della Dinamo di Novosibirsk: seguendo la squadra in trasferta molti ultras, a torso nudo anche d'inverno, non riuscirebbero a fare ritorno.
L'Espresso, 5 settembre 2008
Blogfest - Parte due (che fatica)
Ristoranti, pioggia e chiacchiere a parte, cosa mi resta della Blogfest?
1. Un occhio nero. Domenica pomeriggio non ho visto il vetro della porta automatica al Palazzo
dei Congressi e ci ho sbattuto contro con tutti i sentimenti. Figura di merda, sopracciglio spaccato (poco per fortuna) ed ematoma alla Million Dollar Baby.
2. La contrapposizione fra blogosfera e informazione tradizionale. Molto di questo abbiamo discusso con G. e G., anche in camera da letto. I blogger reclamano maggiore visibilità e una parificazione de facto del loro meritorio e volontaristico impegno al mestiere blasé del giornalista. Leggi: i giornalisti hanno un ordine e scrivono spesso delle schifezze, i blogger no e scrivono spesso cose interessanti; perché allora non fare in modo che gli utenti (i lettori) abbiano la possibilità di informarsi a prescindere dal prestigio della penna o della testata?
Argomento parzialmente condivisibile, e io non lo condivido. L'appartenenza all'ordine dovrebbe tutelare il lettore sulla veridicità , l'attendibilità e la correttezza dell'informazione, e così in effetti fu concepito, a garanzia del lettore.
Sappiamo però tutti quanto questa sia un'utopia, in Italia; che l'ordine non tutela gli interessi dei lettori ma è garante principalmente degli interessi dei suoi accoliti. Tutto vero. Che si riformi l'ordine, allora: non sono d'accordo a buttar via il bambino con l'acqua sporca.
Di queste cose avrei voluto si parlasse alla tavola rotonda del sabato, che tanti delusi ha generato e che, come ricorda Luca de Blasi qui, invece è diventata l'ennesima occasione per parlarsi addosso impedendo ai presenti in sala di porre domande (non c'era più tempo, dicono).
3. Filippo Facci. Come definirlo? Un adorabile coglione? Un detestabile furbastro?
Non lo so. So che le sue considerazioni mi sono piaciute, mentre i suoi interventi da Ferrara o Vespa a suo tempo mi avevano ripugnato.
Tant'è che ha vinto il Macchianera Blog Award come "Il blogger più cattivo".
Peccato Facci non abbia un blog.
Mi dicono che tiene una rubrica quotidiana su Il Giornale, una specie di anti-Serra. Posto che non sostituirei l'Amaca quotidiana con nient'altro, sono proprio curiosa, ora che l'ho visto in vivo, di leggerlo. Speriamo si possa fare online.
Blogfest - Two days after
Innanzitutto non pensavo che ci volesse così tanto per arrivare a Riva del Garda e non pensavo che la sponda occidentale del lago fosse così bella. Una specie di costiera amalfitana lacustre: la strada stretta e curvosa, gallerie scavate direttamente nella pietra, i limoneti, Salò, il Vittoriale... Ci tornerò sicuramente.
La compagnia è perfetta: con G. si discorre pacatamente del più e del meno.
Abbiamo visioni opposte sull'uso dei navigatori satellitari ("Ormai non mi muovo senza Tomtom" dice lei, "Per carità, io ho bisogno di perdermi", le rispondo io) e in effetti nessuna delle due sa quale sia l'uscita dell'A4 giusta per Riva. Andiamo un pò a caso e tutto va per il meglio.
La sistemazione. L'ostello è meglio di un hotel italiano tre stelle. Alla faccia delle amiche che ma siete matte alla vostra età andare in un ostello della gioventù!. Sulla gioventù potrei anche essere d'accordo, ma che a quasi 35 anni si debba per forza scendere in un resort 5 stelle con sauna, piscina e accappatoio incorporato mi sembra una sonora cagata. Per il semplice fatto che non ciò soldi (e forse dovrei preoccuparmene, a quasi 35 anni) e che 20 euri al posto di 400 sono un bel risparmio.
Venerdì arriviamo appena in tempo (meglio: in ritardo) per la visita guidata al MART di Rovereto, niente Bernabé. Peccato, l'avrei salutato volentieri, anche se dubito si ricordasse di me.
Il museo è decisamente bello, sia l'architettura esterna, sia le mostre che ospita. Eurasia, tre artisti tedeschi di cui mi sfuggono i nomi, l'impressionismo fino a Seurat.
Attimi di panico: temo di aver perso il portafogli, ma lo ritrova G. in auto. Intanto ho già perso il badge.
Si ritorna a Riva, si cerca un ristorante ma le dieci di sera sono notte inoltrata per le cucine. Non si mangia più e ripieghiamo su una pizzeria qualunque.
Giro per il paesino, incantevole, drink sulla sponda del lago, la rocca, passeggiata igienica, nanna.
Fine delle prima puntata. (Cheppalle stò post).
venerdì 12 settembre 2008
Blogfest preparation
Poco male, questo sarà il primo.
Sto per partire con G. verso la Blogfest. Mi aspetto di divertirmi, di sentire cose interessanti e incontrare gente simpatica.
Vedremo.
giovedì 11 settembre 2008
Bad family
Che poi fa scopa con i dati recenti sulle separazioni simulate. Pare che il 5% del totale delle separazioni in Italia risponda all'esigenza di sfuggire alle grinfie del fisco.
Valentina Conte lo spiega qui.
Postilla al post su Franco Cordero
E infatti: ho trovato questa interessante discussione che ne dà una conferma.
Fenomenologia di Franco Cordero
Cordero è, prima di tutto, fine giurista, ma anche erudito scrittore di saggi e romanzi (mea culpa, non ho letto niente di suo fuorché i suoi editoriali su Rep: mi riprometto al più presto di colmare la lacuna).
Dopo la lettura di un suo editoriale si dànno due casi.
Il primo: ti senti uno stupido, stordito dalle decine di citazioni dal latino, annichilito dallo stile involuto, ferito nell'orgoglio per non aver capito almeno metà della storia.
Il secondo: provi la sensazione di essere davanti a qualcuno che scrive per davvero, magari hai messo mano qualche volta al dizionario (Cordero ti ci ha finalmente costretto), hai riletto l'articolo tre volte e ogni volta hai trovato la chiave per comprendere questa frase o quella citazione.
Mi riferisco qui solo allo stile, ché se si parlasse anche del contenuto - e cioè tipicamente le scorribande giuridiche del "Signor B.", altrimenti detto "Caimano" - il discorso si farebbe ancor più complicato.
Insomma: Cordero divide i lettori, lo si può facilmente immaginare.
Personalmente ricado nel caso numero due: leggere un suo editoriale mi ha costretto a ragionare, a rileggere e a cercare un dizionario, cosa rara di questi tempi.
Vorrei che Franco Cordero si leggesse più spesso.
Vorrei che il nostro amato Direttore gli dèsse più occasioni: che Cordero scriva dello stato attuale della scuola e della cultura in Italia, ad esempio; avrebbe l'altezza morale e la maestrìa stilistica per farlo e deliziare - una volta tanto - i lettori di Rep, di cui evidentemente non si ha elevata stima.
Cordero è comparso il 22 luglio con un fondo a dir poco meraviglioso, "La quiete del manovratore" (lo trovate qui), sull'immunità alle figure istituzionali di cui a lungo si discuteva in quei giorni. Poi più nulla.
D'accordo, le vacanze.
Quanto ancora dovremo aspettare?
lunedì 8 settembre 2008
Il torracchione
Qualche giorno fa – quando si dice il lento lavorìo della memoria – ho collegato due fatti che, presi a sé, avevano poco significato ma che, messi assieme hanno sviluppato una potenza deflagrante.
Il primo fatto.
Il mio ufficio è situato all’interno di Palazzo Montecatini, a Milano. Si tratta di un edificio progettato da Giò Ponti nel 1935, in piena epoca fascista, bell’esempio di architettura razionalista.
Quando ho iniziato a lavorare qui, circa un anno fa, ignoravo completamente tutto questo.
Semplicemente mi piaceva, ne ammiravo l’austerità la bella facciata di marmo verdognolo punteggiata dal vetro delle finestre.
Il secondo fatto.
Nel 1954 quarantatre operai muoiono nella miniera di Ribolla a causa di un’esplosione. Teatro del disastro è una miniera della Montecatini; Bianciardi e Cassola documenteranno la tragedia nell’inchiesta dal titolo “I minatori della Maremma”. La solenne incazzatura di Bianciardi per l’indifferenza con cui l’azienda aveva archiviato il grave incidente è all’origine – nella finzione – della venuta del suo alter ego a Milano, con il preciso scopo di far saltare in aria – non è una metafora - il simbolo di quel potere economico distante e inumano.
E il simbolo qual è?
Proprio il palazzo della Montecatini, che Bianciardi ribattezza “il torracchione”, felice sintesi di disprezzo e ironia tutta toscana.
Per un curioso artificio della memoria, dicevo, ho collegato il primo fatto al secondo fatto e il risultato è che io lavoro all’interno di quel torracchione che Bianciardi voleva far scoppiare nel 1962.
Lui ci provò con scarsa volontà e pochi risultati. Si limitò a prendere contatti con una dirigente dell’allora Montecatini che era stata messa da parte in quanto sindacalista – oggi si direbbe mobbizzata – e isolata in un ufficio periferico, irraggiungibile dai più.
Mi sento inconsapevolmente colpevole. Dovrei forse provare anch’io a progettare lo scoppio di questo luogo tanto bello fuori quanto orrendo dentro.
L'assorbimento
Sì, sono tornata dalla vacanze, ormai è passato remoto, ormai.
Lasciarsi assorbire dal sistema, da Milano, è sempre più faticoso. Deve essere l’età e la maggiore consapevolezza che la maturità comporta.
Considerazioni filosofiche a parte, la verità è che se già a luglio non avevo voglia di lavorare, adesso non so proprio cosa fare.
E allora la mente vaga, vola lontano. Un po’ vola verso le coste frastagliate del Salento, un po’ va alla frisella pucciata nell’acqua di mare, condita con pomodorini e mangiata con M., in silenzio e in pace; alle rocce a strati di Salina, ad Alfredo e a quella granita di gelsi celestiale; allo Stromboli con il suo pennacchio di fumo, a San Menaio e alle foto di Paz (seguirà post) quand’era ragazzino, alle strade impervie della Lucania e alla stanchezza del viaggio.
venerdì 1 agosto 2008
De scriptura
M. "Tu scrivi bene. Sei ironica, hai fantasia, etc. etc."
Io. "Grazie, ma mi sembri un filo esagerata...". Imbarazzo.
M. "Allora ammazzati, non ti si può dire niente!"
E mi chiedo cosa voglia dire saper scrivere.
Prima di tutto, saper scrivere comporta la conoscenza della grammatica della lingua in cui si scrive.
Una solida conoscenza, direi.
Poi c'è la sintassi. Quindi: consecutio temporum, concordanze, gestione subordinate e coordinate.
E non dimentichiamo i congiuntivi e i passati remoti. I primi, ormai, o si usano a sproposito, spargendone a caso qua e là anche dove non richiesti (poveracci); i secondi invece sono caduti completamente nell'oblìo. Pare che solo gli abitanti di Regalbuto o Canicattì ne abbiano licenza d'uso. Già quelli di Formia non sanno cosa sia. Se poi vivi a Milano e ti capita di usare un "feci" o un "andai" ti guardano di sbieco e sorridono: ti hanno sgamato, sei un terrone.
Io, che non vedo l'ora di farmi sgamare, cerco di usare il remoto quando posso, ma mi rendo conto - me misera - del contagio lombardo, che ti fa usare un molto più pratico passato prossimo anche quando vuoi riferirti a eventi di lustri fa. L'efficienza lombarda predilige il passato prossimo secondo me per due motivi. Il primo: per mettere assieme un buon passato prossimo basta saper coniugare "essere" e "avere", attaccarci un bel participio passato (e chi non lo sa?) e bon. Non ti puoi sbagliare e fai sempre la tua porca figura, in ufficio, in società, in coda alla posta, nel salotto letterario. Il secondo: per un lombardo forse è troppo doloroso collocare in un tempo lontano eventi e ricordi. Tutto deve essere collocato a breve distanza. Non c'è tolleranza per l'oblìo, la nostalgia e la fine delle cose.
Ma dicevo della sintassi.
Poi c'è la punteggiatura. Saper usare bene il punto e virgola.
E i verbi? Al tempo giusto e possibilmente concordi fra loro.
Se si sanno padroneggiare queste armi si è solo al punto di partenza.
Oltre c'è l'ineffabile.
Inviata speciale (in incognito)
Visto che leggo Rep da anni e la conosco ormai quasi a menadito mi pare giusto mettere a frutto l'occhio clinico e divertirmi un pò.
Grazie alla magnanimità dell'autore del blog e alla sua fiducia.
Tanto fra 48 ore sarò in vacanza: si rimanda tutto a settembre.