martedì 2 dicembre 2008

L'orlo

Non lo so. Forse è il martellamento mediatico, o il clima grigio.
Mi sembra che la recessione stia entrando dentro di noi, e ci trasformi inconsapevolmente in altro ancora indefinibile, ineffabile.
In questi giorni mi chiedo spesso se la crisi sia solo una bufala e allora mi guardo attentamente intorno, osservo la gente per strada, nei negozi, comprano sì comprano no, e se sì quanto.
Milano non è la città ideale per questo esperimento, oppure sì?
Forse bisognerebbe uscire dalle vie del centro, dove sembra che non stia succedendo nulla.
Ma forse succede qualcosa lo stesso e tutti, i commercianti, i passanti, i venditori di caldarroste, i liceali in libera uscita stanno solo fingendo che niente è cambiato. L'impressione è, appunto, quella di una finzione collettiva che nasce dall'ultima speranza che in fondo il peggio passi senza fare troppi danni. Sarà ancora Natale.
C'è un clima di attesa. Come se dovesse arrivare la fine di qualcosa: ma fino ad allora si vive come se nulla fosse. E' un modo per esorcizzare la paura che accada quello che nessuno vuole: cambiare il tenore di vita a cui si è abituati, quale che sia, e sicuramente in peggio. Ovvio che non vale per tutti, i ricchi e i privilegiati dei periodi di crisi si fanno beffe, bontà loro.
Ma gli altri?
Gli altri, a parte quelli che il lavoro l'hanno già perso e che non ce l'avevano neanche prima, tentano la rimozione. La crisi è argomento di conversazione a cena: il bombardamento della stampa a questo è servito finora. Se ne parla per minimizzare, allontanare i timori, trovarsi solidali nell'insulto ai poteri forti che ci hanno trascinato sull'orlo del baratro.
E così stiamo: sull'orlo, cercando di distogliere lo sguardo dal burrone in cui sono caduti già in tanti, con l'inconfessabile paura di scivolarci dentro anche noi.

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