mercoledì 17 settembre 2008

Anestesia politica

Oggi passeggiavo toma toma cacchia cacchia in Via Vittor Pisani, e ponza riponza scatta l'illuminazione. Che, più o meno, è questa: menomale che ci siamo tolti dalle palle la vecchia sinistra!
Godo nel sentire il brusio lamentoso di quelli che non si sentono rappresentati - consolatevi con Luxuria all'isola, tiè - nè in Parlamento nè sulla stampa.
Godo, mi vergogno per tutti coloro che hanno votato Bertinotti e, ancor peggio, la marmaglia dei Diliberti (a propò, dov'è finito?), dei Rizzi, dei Carusi.
Di sinistra, certo. Portafogli a mantice, razzisti travestiti da radical-chic.
Si lamentano, sai che novità.
Beh, in democrazia ha diritto a essere rappresentato chiunque raccolga dei voti.
Traggano costoro le debite conclusioni.
Mi chiedo piuttosto se ci sia un problema di rappresentanza per gli elettori democratici.
Un partito in effetti c'è, occupa scranni in Parlamento ma, a quanto pare, gli elettori democratici neanche loro si sentono rappresentati.
Ciò è più grave: il partito c'è ma non si vede.
La malattia strisciante, l'indifferenza che come un gas penetra in tutti i pertugi e anestetizza, è palpabile. E inevitabile, pure.
Viviamo al tempo delle macerie. Dappertutto se ne vedono: la stampa, l'Alitalia, la sinistra massimalista (deo gratias!), il costume e avanti così.
E di tempo ce ne vuole, per risollevarsi da tutto questo.
Ci vorrebbe un Piano Marshall.
Certamente meglio del Piano Fenice.

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