mercoledì 31 dicembre 2008

Falò

Quest'anno, il 2008, lo chiuderò stasera con un falò.
Che soddisfazione, dare alle fiamme un inqualificabile giubbotto di pelle, maglioni, pantaloni, aahh, ultimi rimasugli di passato che mi sono fortunatamente scrollata di dosso, e per sempre.
E quale felicità guardare attraverso il fuoco e vedere quanto di bello ho adesso, e ciò che mi aspetta.
Indescrivibile.
Ancora una volta, grazie a me e a chi mi ama davvero.

martedì 23 dicembre 2008

lunedì 22 dicembre 2008

2008 Companies to Incazz For

Nella congerie (madò, erano secoli che non usavo stà parola) di classifiche di fine anno, da quella di Fortune a quella di Newsweek (di oggi), dell'amato Sole24h a etici etici, ecco qui the definitive classifica, quella bella grezza, divertente, vera perchè viva voce de noantri su Internet è quella di Brodo Primordiale, la ormai celebre "2008 Companies to Incazz for".
Coming soon, naturalmente.
Se volete divertirvi con quella dello scorso anno, vinta (indovinate un pò?) da Telecom Italia andate qui.

Intellettuale a chi?

Sono proprio felice dei regali che sto ricevendo.
Libri. Solo libri. Anzi no. Anche un DVD-libro.
Si tratta de "La voce di Pasolini".
Ieri ho iniziato a guardarlo, poi interrotta. Ma mi sembra già una perla.
Il secondo regalo, in ordine di arrivo, è "La mente politica. Il ruolo delle mozioni nel destino di una nazione".

Un saggio sul rapporto fra politica, linguaggio ed emozioni.
"In politica, quando ragione ed emozione si scontrano, immancabilmente è l'emozione a uscirne vittoriosa. "
Lo leggerò durante le vacanze di Natale.
Sì, sono proprio soddisfatta.
Mi sorge però una domanda (sì, non siamo mai contenti). Scusate, ma ispiro tutto questo intellettualismo? Lo trasudo dai pori? Gli amici mi regalano sempre roba super-impegnata ergo...? Forse è ora che mi dedichi a qualche lettura svagata o a qualche attività a elevato tasso di manualità. Che so, potrei leggermi le barzellette di Totti, per cominciare. E imparare una buona volta il sudoku (non si offendano i sudokisti cintura nera, per carità).
La verità è che sono troppo pesante, nonostante io mi senta sempre troppo leggera.
Ma come faccio a smettere? Impossibile credo, e chi mi ama l'ha capito.
Ma quanto mi piacerebbe una volta tanto un bel regalo disimpegnato.
Per quelli all'ascolto: regalatemi la biografia di Cassano, dàje!

Oh!

Il bello di avere un blog è disertare.
La premessa del mio blog - questo - è la pigrizia. L'avevo detto.
E questa è l'ennesima volta che sento il bisogno di giustificare, peraltro a me stessa, la mia pigrizia, la mia assenza, la mia cronica mancanza di volontà.
Ma, mentre scrivo, mi accorgo che questo bisogno è stupido. Delle due l'una: o mi riprometto di essere diligente e costante (saprei anche da chi prendere esempio) oppure no e in quest'ultimo caso la pianto di lamentarmi e/o giustificarmi a cadenza periodica.
Oh.

martedì 2 dicembre 2008

Giuro che smetto

Giuro che dopo questo post la smetto.
Seguirò gli ordini di Sua Nanità Silvio e mi trasformerò in men che non si dica in una inguaribile ottimista.
Che sforzo però. Chi riesce a essere ottimista di stì tempi merita un bacio in fronte, forse anche di più. Prendete stamani. Sono in attesa del solito tram, alla solita ora, fra le 8.30 e le 9.00. Ora di punta si chiama questa, quando dovrebbero passare tanti mezzi pubblici da stenderti sui binari, o sull'asfalto. E invece, come al solito, il mio solito tram non passa. Non c'è sciopero, non c'è la neve, non c'è la pioggia, nessuno si è gettato sotto le rotaie e il tram non passa. C'è pure la beffa dell'avveniristico cartellone che ti segnala i minuti di attesa - 6 min, 4 min, 26 min (sì, capitato anche questo) - che Roma invidia tanto a Milano. Stamani l'avveniristico cartellone non segna neanche i min di attesa. Siamo allo stato d'emergenza.
Decido quindi di riprogrammare il percorso e di prendere la metro a Famagosta. Per arrivare lì devo salire sulla 95 che... ma vabbè questa è un'altra storia. La 95, assurdamente, arriva in pochi minuti ed eccomi a Famagosta quasi felice - ci vuol poco, di stì tempi - che timbro il mio biglietto e mi immagino seduta alla scrivania finalmente in orario.
Non potevo immaginare, invece, il seguito della storia.
Oltrepassato di due metri il tornello, giusto il tempo per svoltare a destra e imbucare le scale, vedo davanti a me un'orda di poveri disperati ammassati sulla banchina, e sono talmente tanti che dalla banchina si riversano sulle stesse scale che mi accingo a scendere. Mi prende la rabbia, con me stessa per aver cambiato percorso, innanzitutto, in secondo luogo con l'omino dell'ATM che avrebbe potuto informarmi del delirio e farmi risparmiare un biglietto.
La rabbia monta e si impossessa di me: penso a quanto questa città sia ridotta male, allo sciopero di ieri, alla manifestazione di sabato, a quella di giovedì, alle vecchie sul tram che maledicono gli extracomunitari senza motivo, all'indifferenza di tutti gli altri, a quelli con le cuffie bianche nelle orecchie, alle segretariette rinsecchite con gli stivali a punta modello El Charro (che si sveglino, sono fuori moda da mò) e le borse finte di Louis Vuitton, ai funzionari di banca che comprano Libero da Claudio, il mio edicolante - che poi si lamenta con me.
Penso queste e altre cose e non faccio in tempo a pensarne altre ancora che finalmente arriva un treno.
Come previsto parte l'assalto alla diligenza, come nei migliori film western, ma qui, a Famagosta, il ruolo degli indiani è interpretato egregiamente dalla folla civilissima dei cittadini milanesi.
Che bella parola: civile.
Leggo la definizione sul Garzanti online: "educato, cortese, decoroso: maniere civili; persona civile | (estens.) misurato, elegante."
Ok, l'Italia non è mai stato un paese civile, ma quanto soffro a vederla ridotta così.
E non è la solita storia del piovegovernoladro.
Mi fa male vedere il disfacimento, il degrado delle nostre vite, mi commuovo alla vista di un Paese che così cattivo non è mai stato, altro che ottimismo.

L'orlo

Non lo so. Forse è il martellamento mediatico, o il clima grigio.
Mi sembra che la recessione stia entrando dentro di noi, e ci trasformi inconsapevolmente in altro ancora indefinibile, ineffabile.
In questi giorni mi chiedo spesso se la crisi sia solo una bufala e allora mi guardo attentamente intorno, osservo la gente per strada, nei negozi, comprano sì comprano no, e se sì quanto.
Milano non è la città ideale per questo esperimento, oppure sì?
Forse bisognerebbe uscire dalle vie del centro, dove sembra che non stia succedendo nulla.
Ma forse succede qualcosa lo stesso e tutti, i commercianti, i passanti, i venditori di caldarroste, i liceali in libera uscita stanno solo fingendo che niente è cambiato. L'impressione è, appunto, quella di una finzione collettiva che nasce dall'ultima speranza che in fondo il peggio passi senza fare troppi danni. Sarà ancora Natale.
C'è un clima di attesa. Come se dovesse arrivare la fine di qualcosa: ma fino ad allora si vive come se nulla fosse. E' un modo per esorcizzare la paura che accada quello che nessuno vuole: cambiare il tenore di vita a cui si è abituati, quale che sia, e sicuramente in peggio. Ovvio che non vale per tutti, i ricchi e i privilegiati dei periodi di crisi si fanno beffe, bontà loro.
Ma gli altri?
Gli altri, a parte quelli che il lavoro l'hanno già perso e che non ce l'avevano neanche prima, tentano la rimozione. La crisi è argomento di conversazione a cena: il bombardamento della stampa a questo è servito finora. Se ne parla per minimizzare, allontanare i timori, trovarsi solidali nell'insulto ai poteri forti che ci hanno trascinato sull'orlo del baratro.
E così stiamo: sull'orlo, cercando di distogliere lo sguardo dal burrone in cui sono caduti già in tanti, con l'inconfessabile paura di scivolarci dentro anche noi.