giovedì 31 luglio 2008

Quelli che se ne vanno

Julien è stato qui con me in ufficio per circa sei mesi e questo era il suo ultimo giorno.
Nel mezzo di giorni ne sono passati tanti, alcuni senza lasciare traccia, altri con dentro qualche ricordo da portarsi a casa.
Per esempio il giorno che andammo a pranzo nel parco. Se non ricordo male doveva essere già primavera, forse era aprile, non so. Ricordo però molto bene il suo sorriso mentre mi parlava di cose importanti come l'amore, la passione.
Discorsi grossi. Lui, magro come un chiodo e alto un metro e sessanta.
Fin dai suoi primi giorni in ufficio tutti notarono che aveva qualcosa di unico. L'abbigliamento o forse il modo di camminare come se scivolasse sulla moquette. Indossava completi scuri, di una taglia invidiabile persino a una donna magra, senza cravatta. Girare per gli uffici senza cravatta qui è considerato al pari di una bestemmia in chiesa.
Julien lo sapeva ma se ne fregava.
E' francese, dimenticavo. Come tutti i francesi - che dio li benedica - laico, stronzo e maledettamente snob.
Gli avevo notato anche certe strane scarpe a punta. Sembravano la versione maschile di un paio di chanel. Qualche volta si presentava al mattino con un foulard di seta portato al collo con grande disinvoltura. La sua allure noncurante mi piaceva molto.
Siamo diventati amici, senza rendercene conto. Cento giornate sono passate senza rivolgerci parola, lui fisso al suo PC io al mio.
Quel giorno al parco ero molto triste, per un grande amore finito. Julien cercò di consolarmi, e ci riuscì. Mi disse che anche lui aveva avuto una passione grande, che ogni volta che ci pensava gli prendeva un crampo allo stomaco.
"Pensa a quelli che un amore così non ce l'hanno avuto e non l'avranno mai..."- disse. Mi stupì, così serio eppure così giovane. A ventitré anni certi discorsi non li puoi fare.
Al ritorno dal parco però mi sentivo già meglio.
E soprattutto avevo un nuovo amico.

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