venerdì 28 novembre 2008

Nova 24: il fenomeno Facebook


La pigrizia è una brutta cosa. Lo sapevo. Sono passate due settimane (due?) dall'ultimo post scritto.
E ci sono sempre pronte un sacco di scuse, la vita, il lavoro... etc etc.
Vabeh.
Rieccoci.
Siete pronti a comprare giovedì l'instant book del Nòva 24 su Facebook?
Fatelo!
Qui i dettagli.
Forse ci sono anch'io, forse.
:-)

venerdì 14 novembre 2008

Com'è andata a finire

Così.

GENOVA
- Genova è ancora stupita, amareggiata, è di nuovo una città sotto choc dopo la sentenza della prima sezione del Tribunale sui pestaggi alla scuola Diaz, durante il G8 del 2001. Sentenza che ha assolto i vertici della polizia e condannato agenti e due soli dirigenti, Michelangelo Fournier che aveva definito quella notte di botte e violenza, tra il 21 e il 22 luglio del 0001, una "macelleria messicana" e l'ex capo del reparto Mobile di Roma, Canterini.

Dio si ricorda di Milano

C'è un tramonto spettacolare, là fuori, dopo giorni e giorni di acqua.
E oggi non tento la fuga alle sei di pomeriggio dalla bottiglia di orzata dove galleggia Milano (cit. La domenica delle salme).

giovedì 13 novembre 2008

Dal paradiso a Facebook e ritorno in 10 mosse

A me Facebook non m'ha mai convinto e non mi convince tuttora, ma la curiosità, la mia condanna, mi costringe a provare tutto, e non, così, tanto per, no. Mi ci ficco dentro fino al collo, fino a sfiorare l'annegamento.
Sono nella fase acuta di utilizzo. Non so quanto durerà e onestamente avverto già i primi sintomi di stanchezza e credo che presto opterò per il Facebook-suicidio.
Qualche giorno fa G. (mio carissimo amico) mi confessa di essersi suicidato su Facebook. Non ne poteva più. E qui mi ha spiegato i suoi motivi:

Ari: ahò, ma te ne sei ito da feisbuc proprio quando mi sta prendendo la febbre a me. Quanto dura?
G: ao'! Io ero iscritto quasi da un anno. Lo schifo mi e' venuto pero' solo di recente, prima mi contenevo.
Ari: cioè? Che tipo di fenomeno è?
G: in che senso?
Ari: cioè, qual è il decorso della malattia?
G: mmmmh fammi pensare
1) novita', carino!
2) ehi ma c'e' anche peppuzzo che non lo vedevo da 20 anni!!
3) ah pero' che amiche fighe che ha peppuzzo, quasi quasi scrivo sul suo wall per farmi notare
Ari: (LOL)
G: 4) belle le application, ci sono anche quelle per cuccare!
5) prima pazza
6) seconda pazza
7) terza pazza
8) n pazze
9) qualcosa non mi torna, pero' che figata mi faccio i cazzi degli altri
10) MI FACCIO I CAZZI DEGLI ALTRI!! SONO UN MOSTRO! VIAAAA

G è tornato alla real life, sta bene ed è più felice che mai.

Chissà come va a finire

Sono qua, sintonizzata su Radiopop, in attesa che si sappia qualcosa della sentenza del processo per il G8. Chissà se anche stavolta dovrò rammaricarmi di essere italiana, più o meno per la terza volta questa settimana (ed è solo giovedì!).

mercoledì 12 novembre 2008

Il bastione dell’indifferenza digitale: l’Italia

Lasciamo per un attimo da parte le fesserie del nano pelato, la mignottocrazia, la casta, la gerontocrazia.
Già sappiamo cosa la stampa straniera pensi del nostro amato Paese.
Ma la lista nera dei difetti dell'Italia, per dirla con un eufemismo, si allunga: secondo il Guardian l’Italia è il più tecnofobo dei paesi del G7. Ma non tutto il male vien per nuocere: la nostra lentezza, tecnologica in questo caso, ci protegge dai danni di uno stile di vita eccessivamente digitalizzato. Ed è vero: anche gli Italiani usano Facebook ma rispetto agli inglesi sanno che là fuori, gente, c’è una real life.

L'ologramma di Paolo Mieli

Chi segue con un pò di attenzione i talk show politici, da Ballarò ad Annozero a L'Infedele a Otto e Mezzo si sarà accorto che una volta sì e una pure c'è un ospite in collegamento da Milano: Paolo Mieli.
Ci pensavo proprio ieri: era collegato con lo studio di Floris, sempre lui, sempre il suo ufficetto con la biblioteca alle spalle, stipata dei volumi di Storia dell'Arte, di Cucina e di tutti gli allegati al Corriere.
Mieli non manca mai, è di un presenzialismo da paura.
Ma non è questo che mi colpisce.
Mi chiedo: ma perché quest'uomo non alza il venerabile culo per andare di persona ospite qua e là nei vari studi televisivi? Se qualcuno l'avesse mai visto fisicamente presente in qualche trasmissione me lo segnali, per favore.
Che problemi ha?

Simplify yourself: il gessato non è più di moda

Una crisi così non era mai capitata prima a chi ha meno di 50 anni, diciamocelo.
E' un evento imperdibile, senza precedenti - per noi - e siamo qua tutti, chi più chi meno, attenti al minimo segnale di cambiamento.
Cambiano i valori di riferimento: se solo sei mesi l'italiano medio avrebbe venduto sua nonna per sgasare su un SUV potentissimo per le strade cittadine ora forse comincia a pensare che con la bici si risparmia e si guadagna in forma fisica, tanto per citare un esempio.
Gli esperti appellano il fenomeno "Voluntary austerity".
In pratica per la prima volta dopo gli anni '80 si sperimenta il desiderio, o forse la necessità, di ridurre, tagliare, fare a meno, limitarsi. Austerity sì, ma volontaria. Siamo noi cioè a sentirci meno propensi ai consumi, per paura, per maggiore consapevolezza.
Volontaria finchè non comincia a diventare obbligatoria.
Quando perdi il posto di lavoro c'è poco da sfogliare verze (cito mammaincorriera): c'è austerity e basta.
Nel Belpaese, che come al solito vive in ritardo perenne rispetto al mondo civilizzato, si avvertono solo le prime avvisaglie.
Altrove si è già passati, purtoppo, alle vie di fatto.
Sul Sole24ore di oggi c'è un articolo sul nuovo linguaggio aziendalistico all'epoca della crisi.
Fino a ieri per licenziarti dicevano "Fired!". Da oggi sei "Simplified".
Semplificato.
Più politically correct. Già, perchè fired ha quel che di violento, che rimanda a oscure colpe del licenziando, mentre simplified, più dolce, suadente, comunica il senso di impotenza del licenziatore, lui sì, poveraccio, che si trova costretto , causa crisi, a semplificare il bilancio, l'organigramma, a tornare back to basics.
Tralascio tutti gli ovvi commenti che si potrebbero fare sul gergo aziendal-capitalistico: ci vivo praticamente immersa fino al collo e non mi fa più alcun effetto, un pò come le battute del nano pelato.
Curioso che anche la moda maschile torni back to basics: la notizia qui è che il gessato non si porta più. Lo diceva Repubblica ieri, riportando le ultime tendenze della moda britannica (fonte Tatler).
Il gessato è morto.
Personalmente ne sono felice: è tessuto portabile da pochissimi selezionatissimi gentlemen (a proposito, dove sono?), quelli che scelgono la righina impercettibile, possibilmente in forma e longilinei.
Accade invece che il gessato tu lo veda comparire addosso a sgraziati e panzoni manager de noantri, con le righe spesse come quelle della divisa di un carcerato e con l'orologio da taschino sboronissimo (questo nelle versioni con gilet, bleargh).
Considerazioni estetico-modaiole a parte il gessato davvero rappresenta il rampantismo 'gnorante del managerismo degli ultimi anni.
Se la crisi serve a farli sparire, insieme col gessato, che crisi sia.
Amen.

martedì 11 novembre 2008

I Sinistrati (aka I Tartassati)

Pare che ormai la questione del rinnovo della classe dirigente, soprattutto a sinistra, sia in cima all’agenda politica.
Ieri sera Gad Lerner intitolava il suo Infedele “I sinistrati” (dal titolo dell'ultimo libro di Edmondo Berselli), con tanto di foto di gruppo PD con orecchie d’asino in testa.
E chi c’era a parlarne? Le solite facce ammuffite del salottino radical-chic di Lerner, Dominijanni del Manifesto, che ancora oggi si chiede “se” realmente la società italiana desideri un cambiamento”, il sociologo pret à porter Bonomi che proclama la nascita dell’era del “territorialismo” (eh?), etici etici.
Quello di Lerner è l’esempio perfetto del perchè in Italia non c’è una nuova classe dirigente. Per fortuna l’Infedele lo guardiamo in tre, e ci addormentiamo verso la metà con il bicchiere in mano e la bolla al naso.
Qualunque istituzione, in Italia, è strutturata sul modello del “salottino”. Il PD è un salottino (con tanto di caminetto, facevano notare Bonomi e Dominijanni): fa politica chi ha tempo, ergo chi non lavora, ergo chi ha mezzi propri di sostentamento, non certo i famosi “pezzi di società civile”, che poi saremmo noi, no? Quelli che sanno come funzionano davvero le cose, dall’economia, alla gestione delle aziende, alla sanità alla scuola. E poi non è solo una questione di tempo, ma anche di relazioni (oddio, le cose sono parecchio interconnesse, a ben vedere). Si fa politica per cooptazione, così come si diventa manager. Allo stesso modo. E più la classe dirigente fa schifo tanto più i cooptati faranno schifo. Semplice. Palmare.
La domanda che mi resta in gola è però questa: non è che la “società civile”, che siamo sempre noi, si merita proprio questo tipo di classe dirigente? Meglio: visto che i “pezzi della società civile” hanno rinunciato da tempo alla partecipazione attiva - in qualunque modo essa si esprima - perchè, diciamolo francamente, stì pezzi hanno anche una vagonata di cazzi loro da farsi (lavora, mangia, stira, cresci famiglia, studia) perchè poi lamentarsi della classe dirigente?
Abbiamo rinunciato a partecipare, abbiamo rinunciato anche a controllare: qualcuno mi spieghi da quale recondito angolo della società potrebbe spuntare l’homo novus, la nuova intellighenzia.
Intanto siamo qui a parlare, analizzare, lamentarci, vergognarci di essere italiani per colpa di un coglione nano e pelato.
Se il sistema è bloccato è perchè qualcuno ci ha messo il tappo o perchè lo spumante si è sgasato?

Obama cake

La pigrizia si fa sentire, in questi giorni. Scrivo meno.
Di cose da raccontare ce ne sarebbero, come sempre, ma la pigrizia è più forte di tutto.
Nel frattempo ho compiuto gli anni, e mi sono cimentata, per l'ennesima volta, nella preparazione della Sacher.
La Sacher è la mia bestia nera: è il dolce che più adoro ma è quello che meno mi riesce. E con la Sacher mi sono incaponita.
Ho provato tante ricette diverse: con una non lievita, con l'altra la glassa sembra un liquame, con l'altra ancora la base si brucia.
Per l'ultima versione, ormai disperata, ho provato la ricetta del Cavoletto di Bruxelles, di cui mi fido ciecamente. E il risultato è in foto.
Come dire: brutta ma buonissima.
La sostanza della Sacher è fatta di due componenti complementari e altrettanto importanti: la base e la glassa. A me se riesce l'una viene male l'altra e viceversa.
No, non si può avere tutto.
Questa volta la base era semplicemente perfetta: cotta a puntino, soffice, alta, con la marmellata di albicocche perfetta.
La glassa invece è venuta una schifezza: troppo densa, per niente lucida, per niente spalmabile.
Il risultato è stato una Sacher orrenda a vedersi ma fantastica a mangiarsi. E poichè questa non si può dire una Sacher l'ho ribattezzata, senza alcuna originalità, la torta Obama.
Slurp!

mercoledì 5 novembre 2008

Finally we can!

Ho fatto la nottata, ho seguito la diretta su La 7, e con il passare delle ore mi sono resa conto di quanto stava accadendo.
Il contadino del Kentucky che ho disturbato ieri con buone probabilità ha votato Obama anche lui.
Due sono però le cose che mi hanno colpito profondamente.

La prima: il discorso di McCain.
Alle 5 del mattino ora italiana McCain appare sul palco a Phoenix. Davanti ha una platea di facce moge e bandiere mosce. Alla sua destra c'è la Palin.
Saluta e ringrazia tutti, poi si congratula con Barack Obama, "Lo ammiro molto" - dice - "e spero di lavorare insieme a lui per l'unità del paese". Seguono ancora ringraziamenti e un'autoaccusa, "The failure is mine, not yours". Giusto, se non ha vinto ha sbagliato da qualche parte.

La seconda: Obama che vola alto sulle ali dell'ideale. Non credo di aver mai sentito tanto afflato nel discorso di un politico. Quando c'era Kennedy non c'ero io e dopo di lui il nulla.
Potreste obiettare che quale politico americano non fa riferimento ai grandi ideali della famiglia, della patria, della guerra (anche e purtroppo).
Avreste ragione.
Ma Obama ha disegnato l'idea del futuro. Una visione che fa sì che noi tutti domandiamo a noi stessi come vorremmo che fosse il mondo fra 20 anni.
Che pena il politichetto nostrano che pensa all'ICI, all'IRAP, al taglietto lì e alla scorciatina là.
Riflettete e poi chiedetevi se ricordate qualcuno (in Italia, almeno) che parli di futuro.
Di come vorrebbe il mondo per i suoi figli.

Avete riflettuto?

martedì 4 novembre 2008

Chicago, Crosby Stills and Nash, dedicated to Obama

Though your brother's bound and gagged

And they've chained him to a chair

Won't you please come to Chicago

Just to sing

In a land that's known as freedom

How can such a thing be fair

Won't you plaese come to Chicago

For the help we can bring

We can change the world -

Re-arrange the world

It's dying - to get better

Politicians sit yourself down,

There's nothing for you here

Won't you please come to Chicago

For a ride

Don't ask Jack to help you

Cause he'll turn the other ear

Won't you please come to Chicago

Or else join the other side

We can change the world -

Re-arrange the world

It's dying - if you believe in justice

It's dying - and if you believe in freedom

It's dying - let a man live it's own life

It's dying - rules and regulations, who needs them

Open up the door

Somehow people must be free

I hope the day comes soon

Won't you please come to Chicago

Show your face

From the bottom to the ocean

To the mountains of the moon

Won't you please come to Chicago

No one else can take your place

We can change the world -

Re-arrange the world

It's dying - if you believe in justice

It's dying - and if you believe in freedom

It's dying - let a man live it's own life

It's dying - rules and regulations, who needs them

Open up the door

We can change the world

P.S. Grazie ad aleblog: aggiungo qui il link per ascoltarla. I nostalgici apprezzeranno (anche se io nel '70 non c'ero ancora mi sento nostalgica lo stesso).

Yes, we could! But...

Siamo tutti, o quasi, con il fiato sospeso, almeno fino a domattina.
A New York preparano la festa in Times Square, a Milano sulla montagnetta di San Siro.
Sembrano tutti convinti della vittoria di Obama.
Io non ci scommetterei.
Gli americani sono un popolo a noi per lo più sconosciuto. Perchè noi europei siamo abituati a pensare, quando pensiamo "americano", all'americano medio di tre città: New York, San Francisco e Los Angeles (tiè, forse pure Chicago).
E invece i 3/4 della popolazione degli States vive in stati come l'Idaho, l'Ohio (il maledetto Ohio, dove pare i democratici non abbiano mai vinto), il Kentucky etici etici.
Non so se vi rendete conto: enormi distese di mais e grano , orizzonti infiniti, trattori giganti, e un sacco un sacco di farmers. Quelli sono gli americani. Non quelli che abbiamo in mente noi, che corrono nel Central Park, non Carrie di Sex and The City, ma gli altri. Che in testa portano il cappellone e addosso le camicie a quadratoni.
E non so quanto questi con le camicie a quadratoni vedano Obama di buon occhio.
Lo sapremo domani.