venerdì 1 agosto 2008

De scriptura

Chat fra me e M.
M. "Tu scrivi bene. Sei ironica, hai fantasia, etc. etc."
Io. "Grazie, ma mi sembri un filo esagerata...". Imbarazzo.
M. "Allora ammazzati, non ti si può dire niente!"
E mi chiedo cosa voglia dire saper scrivere.
Prima di tutto, saper scrivere comporta la conoscenza della grammatica della lingua in cui si scrive.
Una solida conoscenza, direi.
Poi c'è la sintassi. Quindi: consecutio temporum, concordanze, gestione subordinate e coordinate.
E non dimentichiamo i congiuntivi e i passati remoti. I primi, ormai, o si usano a sproposito, spargendone a caso qua e là anche dove non richiesti (poveracci); i secondi invece sono caduti completamente nell'oblìo. Pare che solo gli abitanti di Regalbuto o Canicattì ne abbiano licenza d'uso. Già quelli di Formia non sanno cosa sia. Se poi vivi a Milano e ti capita di usare un "feci" o un "andai" ti guardano di sbieco e sorridono: ti hanno sgamato, sei un terrone.
Io, che non vedo l'ora di farmi sgamare, cerco di usare il remoto quando posso, ma mi rendo conto - me misera - del contagio lombardo, che ti fa usare un molto più pratico passato prossimo anche quando vuoi riferirti a eventi di lustri fa. L'efficienza lombarda predilige il passato prossimo secondo me per due motivi. Il primo: per mettere assieme un buon passato prossimo basta saper coniugare "essere" e "avere", attaccarci un bel participio passato (e chi non lo sa?) e bon. Non ti puoi sbagliare e fai sempre la tua porca figura, in ufficio, in società, in coda alla posta, nel salotto letterario. Il secondo: per un lombardo forse è troppo doloroso collocare in un tempo lontano eventi e ricordi. Tutto deve essere collocato a breve distanza. Non c'è tolleranza per l'oblìo, la nostalgia e la fine delle cose.
Ma dicevo della sintassi.
Poi c'è la punteggiatura. Saper usare bene il punto e virgola.
E i verbi? Al tempo giusto e possibilmente concordi fra loro.
Se si sanno padroneggiare queste armi si è solo al punto di partenza.
Oltre c'è l'ineffabile.

Inviata speciale (in incognito)

Da oggi sono ufficialmente inviata speciale di Pazzo per Repubblica, il blog dei feticisti di Rep.
Visto che leggo Rep da anni e la conosco ormai quasi a menadito mi pare giusto mettere a frutto l'occhio clinico e divertirmi un pò.
Grazie alla magnanimità dell'autore del blog e alla sua fiducia.
Tanto fra 48 ore sarò in vacanza: si rimanda tutto a settembre.

Què viva Paz!

Oggi con Repubblica numero speciale di XL in omaggio.
Ed è tutto dedicato ad Andrea Pazienza!
Sono vent'anni (venti, sic!) che Paz ci ha lasciato.
Io vent'anni fa manco sapevo chi fosse Paz: avevo 14 anni e leggevo Topolino: figuriamoci se potevo sapere dell'esistenza di Frigidaire, del Male o del Cannibale, tsè.
Paz me lo fece scoprire il mio fidanzato dei tempi dell'Università, a metà degli anni novanta.
Lui, appassionato di fumetti del genere colto - per dire: detestava Manara, Bonelli e gli italiani in genere - leggeva soprattutto i francesi e gli argentini, tipo Munoz e Sampayo, Moebius.
Io lo guardavo come si guarda a un dio, e nel frattempo imparavo tutto, curiosa come sono.
L'unico italiano che salvava era Pazienza; aveva gli albi di Pompeo e di Zanardi. Il primo che mi passò fu proprio Pompeo. L'impatto con il tratto e la storia per me fu violentissimo, e forse era proprio quello che Paz cercava.
Da allora ho letto tutto quello che ho trovato di lui, da "Francesco Stella" a "Visca", passando per "Una estate" che per me rimane la storia più bella, così intrisa di nostalgia per i luoghi dell'infanzia, le vacanze interminabili al mare e le pennichelle pomeridiane obbligatorie.
Paz l'ho incasellato come un adorabile stronzo: chissà che faceva passare alle sue donne, che lo avranno adorato come un dio greco.
Ricordo certe strisce che aveva dedicato a Vincino per la nascita della figlia. Paz giocava sul nome da dare alla "Pupa", enumerando una serie di combinazioni esilaranti che potessero funzionare con il terronissimo cognome "Gallo".
E tutte le storie partigiane con il terribile Pert!
Che tristezza scoprire che molti non lo conoscono.
L., ad esempio, al quale da stamattina cerco di spiegare chi sia, cosa abbia fatto e soprattutto cosa Paz rappresenti.
Ma niente. Troppo giovane forse. Macchè.
Solo troppo ignorante.